Ogni mamma che aspetta il primo figlio sogna il momento dell’allattamento: un gesto primordiale e istintivo che nell’immaginazione materna si colora di un’aurea rosa spumeggiante di cuoricini pieni di amore.

Peccato che l’istinto primordiale nel neonato c’è (ovvero: mangiareeee!), ma nella mamma del XXI secolo un po’ meno: l’arte di allattare va quindi imparata e non è cosa facile.
E sì che io mi ero preparata: letture, incontri sul tema, tutorial video, ma niente è più vero che la teoria non è la pratica: il mio piccolino che si era attaccato da subitissimo al seno di gran lena, in tre giorni aveva già fatto tutti i danni possibili: capezzoli irritatissimi e sanguinanti.
Erano arrivate le famigerate Ragadi. Che già solo il nome evoca le Arpie o le Erinni e tali sono state per me: terribili e spietate.
Poi so che ci sono mamme  fortunelle che invece pensano che le ragadi siano dei crostacei tropicali, quindi tanta invidia per loro, ma per chi ci si imbatte ecco qui la mia esperienza.

Innanzitutto il dolore: per me è stato peggio del dolore del travaglio e del parto. Quei dolori sono intensi ma durano poche ore, il dolore delle ragadi si rinnova a ogni poppata del vostro piccolo e vi getta in un girone infernale: “devo nutrire il mio bambino, provo un dolore indicibile, mi esce pure sangue e questo bambino se lo sta bevendo insieme al latte -oddio gli farà male?-, no basta, non ce la faccio, basta, piango, basta, gli dò il biberon, no resisto, che mamma sarei devo resistere, ahi figlio mio quando impari a aprire la bocca, eh quando?“. E questo, data la frequenza delle poppate dei neonati, nelle prime settimane accade quasi ogni ora. Partorirai con dolore, e allatterai con tormento indicibile (questo non l’ha detto ma faceva meglio a dirlo almeno eravamo preparate).

Come si sconfiggono le ragadi?

Beh, innanzitutto andrebbero prevenute e l’unico modo per prevenirle è fare aprire la bocca al proprio bambino: il bambino deve prendere buona parte dell’areola e non attaccarsi solo al capezzolo e per farlo deve spalancare la bocca come se addentasse un panino.

allattamento attacco al seno

Ma un neonato non spalanca la bocca e bisogna stimolarlo a farlo. Io ho imparato con il pazientissimo aiuto di una infermiera del consultorio pediatrico di Lungo Dora Savona che mi ha assistito per diverse mattine in ambulatorio, mostrandomi come stimolare la bocca del bambino con il capezzolo e come infilarglielo in bocca al minimo cenno di apertura decente. Ma non è stato facile per niente,  ogni volta facevo una fatica enorme per far aprire questa maledetta bocca e la situazione si è risolta solo quando il piccoletto ha compiuto quasi due mesi e la bocca, per la crescita naturale, gli si era allargata per forza.

Quando ormai poi le ragadi ci sono le soluzioni non sono poi molte: ho provato a spalmare olio Vea per ammorbidire i capezzoli, ho tentato la lanolina pura, ho indossato le coppette in argento (pare che l’argento sia un ottimo cicatrizzante), ho applicato gocce del mio latte sul capezzolo dopo ogni poppata (il latte è antibatterico naturale), ma niente. Io ho dovuto aspettare che la bocca del mio piccolo crescesse.

Un sollievo

Un sollievo però c’è: stare con le tette a vento quanto più possibile. Dopo la poppata se potete state a petto scoperto. Io giravo in casa, a novembre, a seno nudo che parevo una figlia dei fiori che si preparava per Woodstock. Mia madre scandalizzata, mio marito imbarazzato, io talmente sfinita che avrei provato anche a girare con un koala steso sul seno se fosse servito. L’aria fresca e il mancato contatto con i vestiti danno sollievo e aiutano la cicatrizzazione delle ferite. Per questo consiglio (quando a seno nudo proprio non si può stare) di indossare le conchiglie raccoglilatte : permettono di tenere a distanza di sicurezza i capezzoli dalla stoffa del reggiseno e fanno circolare aria.

In conclusione l’unica cura è il tempo e la pazienza. A ogni fitta che sentirete e ogni lacrima che scende tenete duro: giocate a essere delle super eroine, sentitevi fantastiche e fortissime, consolatevi con chili di gelato e resistete.

Niente è per sempre. Nemmeno un diamante, figuratevi le ragadi.

 

Pensavo fosse amore e invece erano ragadi
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3 pensieri su “Pensavo fosse amore e invece erano ragadi

  • 14 marzo 2015 alle 11:46
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    Brava, fai bene a parlarne, perché è uno scoglio in cui molte si imbattono. Io non me l’aspettavo per niente. Non mi aspettavo che allattare potesse essere così doloroso. Non avevo le ragadi, ma il capezzolo mi faceva molto male e allattare era un inferno. Mi sentivo in colpa perché non lo facevo volentieri. Poi, poco per volta, il dolore è sparito e sono stata contenta di aver resistito. Allattare è diventata un’esperienza positiva. Però nessuno mi aveva spiegato le difficoltà iniziali. C’era solo tutto quel parlare in modo mitico dell’allattamento, come se fosse una passeggiata.

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  • 20 luglio 2020 alle 19:55
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    Scrittura schietta e divertente! Grazie, é stato bello leggerti. Condivido, ahimé, terribile esperienza ragadi e misteriose fitte post allattamento che mi costringono a prendere mezza pastiglia di antidolorifico per poter tener in braccio il mio leoncino.

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    • 20 luglio 2020 alle 21:06
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      Tieni duro Marzia! Le ragadi passano, l’amore resta

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