Oggi ho l’onore di ospitare il racconto di Francesca, mamma di Lorenzo e Giacomo, cintura nera di allattamento dal 2012. 

Questa è la sua esperienza di donatrice alla Banca del Latte.

 

 

Banca del latteNon si parla spesso di Banca del latte. L’ho sentita nominare una volta all’ostetrica durante il corso di preparazione al parto, ma molto velocemente. L’unico vero racconto che ne ho avuto è di una cugina di secondo grado che a Firenze, ormai una ventina di anni fa, aveva fatto delle donazioni. Quindi, quando mi sono ritrovata a casa con il secondo figlio in braccio e la maglietta costantemente bagnata, mi sono detta, “proviamo”.

Ci sarà anche a Torino, no? C’è. Al piano interrato dell’ospedale dei bambini, il Regina Margherita.
Mi sono decisa e ho trovato un volantino su google. Lo potete scaricare qui.
Ma c’è giusto po’ di bla bla su quanto sia importante e utile il latte materno. Più due numeri di telefono. Chiamo? Non son proprio sicura. Ma dai, chiamo.

– Scusi, ho un bambino piccolo e posso donare del latte, vorrei sapere come si fa.
– Lei fuma?
– No. (Mi preparo per l’interrogatorio (che poi non è niente di più di quello di una normale donazione di sangue).
– Beve?
– No.
– Neanche un bicchiere a pranzo e cena?
– Solo a Natale, Pasqua, compleanni e altre feste comandate.

Silenzio. Non mi crede.

– D’accordo. (Sfigata, sta pensando).
– Ha saltato la domanda sulle droghe leggere.
– (Non ride) Perché, le prende?
– No, no. No, no. (Panico)
– Ha gli esami del… (sciorina tre sigle che non mi ricordo più 10 secondi dopo, tranne HiV perché quello lo sanno tutti cos’è e fa tanta paura) fatti di recente?
– Boh, durante la gravidanza ce li fanno continuamente gli esami. Sarà tra quelli?
– Difficile. Deve venire a trovarci così facciamo un prelievo.

Andare all’ospedale non è divertente, e da casa nostra non è comodo. Ma Giacomo deve pur abituarsi al clima locale, e così fisso un appuntamento, al quale mi presento stranamente puntuale con il mio piccolo in bella mostra. In queste tre settimane ho avuto modo di constatare che sì, di latte ce n’è, che è un peccato che vada sprecato, e sì, posso farcela a organizzarmi abbastanza da tenerlo da parte metodicamente, in maniera opportuna (o per lo meno secondo i dettami del SSN), e senza rischiare l’esaurimento.

Mi accoglie, in crocs rosse, la caposala. Da quel momento resterà con me, fissa, per un’ora e più, accompagnandomi nei corridoi dell’ospedale a prenotare e fare gli esami del sangue (anche quando li fai di continuo, non son mai quelli giusti), e infine indicandomi dov’è il bar più vicino, che sono una ragazza d’appetito. Ha persino tenuto il mio bambino in braccio mentre una giovane studentessa in infermeria con mano tremante mi infilava un aghetto nel braccio destro.(Tutto bene, la mia vena, neanche un lividino.)

Mi spiega per filo e per segno cosa devo fare.

Io raccolgo spesso il latte con le coppette di plastica (queste qua, per chi volesse capire cosa sono ). Non va tanto bene: il grasso del latte rimane attaccato alla coppetta.
Meglio tirarlo con il tiralatte.

Ora, io non lo amo il tiralatte. Dubito che chiunque ami il tiralatte, ti fa proprio sentire una mucca.
Ma ne ho uno manuale a casa, e farò finta di non sentire quando mio marito mi chiederà “ti mungi?” e farò finta che non faccia male (quando tira forte, assicuro, non è piacevole).

Devo raccoglierlo in dei piccoli biberon dal tappo viola.
Segnare sull’etichetta il mio cognome, il giorno e l’ora del “deposito”.
Congelare il tutto entro 6 ore.
In quelle 6 ore deve sempre stare in frigo il latte. Vabbè, questo era scontato. E anche che tutta la “strumentazione” –  tiralatte e biberon – dovesse essere sterilizzata. Ok.

Mi prepara un sacchettone con dentro una trentina di barattoli.
Spalanco gli occhi: in totale fanno 4 litri e mezzo di latte.
– Non li deve riempire del tutto. E non devono essere tutti pieni per domani, il tempo che ci vuole, per carità. Nessuno ha fretta.

Il latte viene usato per i prematuri qui in ospedale. Sono bambini che sono nati così in fretta da non poter ciucciare dal seno materno, e quel seno materno non stimolato non ha potuto produrre latte. Nessun latte artificiale per ora è riuscito a emulare quello naturale, “il latte della mamma non si scorda mai”, dice il governo. Quindi, immodestamente parlando, mi sento una mucca molto importante.

Una delle questioni che mi aveva preoccupato di più era il ritiro: sono volenterosa, ma non così tanto da andare tutte le settimane con una borsa frigo in ospedale a depositare i miei beni.
Da qualche anno passa un’ambulanza a prendere il latte. Ma uno ne deve raccogliere una quantità che giustifichi il costo del servizio, quindi mi hanno intimato di chiamare quando avrò riempito almeno 15/20 boccette. Sono tante per il freezer di famiglia. Scongelerò un po’ di spezzatino.

Torno a casa con questo sacchettone di mini-biberon.

Chi mi conosce sa che non sono una mamma organizzata. La mia casa è sottosopra più di altre, il tempo di cucinare con due figli piccoli io non so le altre dove lo trovino, e quando ho un po’ di tempo libero magari dormo. Tutto chiaro, no?
Eppure in questa cosa mi impegno, mi sembra importante.
Cerco di organizzarmi per sterilizzare ogni volta tutto l’ambaradan.
Spesso, soprattutto di notte quando la produzione di latte è più copiosa, se devo far aspettare il piccoletto perché mi sto tirando il latte, lui non apprezza.
Spesso, ancora, lo bagno per sbaglio tra un travaso e l’altro.
Quindi lo devo cambiare.
Quindi si sveglia e lo devo riaddormentare.
Non è sempre una passeggiata di salute.

Ma sono a 12 boccette. Tra poco verrà il momento di chiamare, orgogliosa, la caposala per dirle che ho raggiunto il primo obiettivo.
Mi riporteranno qualche nuovo biberon dal tappo viola e si andrà avanti così fino a che il mio piccolo non compirà sei mesi. A quel punto il mio latte sarà troppo “maturo” per quei neonati così piccoli, e allora basta così.

So che l’entusiasmo scemerà nel tempo. Che mi costerà più fatica, tra un mese, quando mi cascherà su un piede un “deposito” all’apertura del congelatore. Quando mio marito cercherà un gelato e l’unica cosa di cui sarà pieno il nostro freezer saranno i biberon della banca. Quando poi tornerò a lavorare… non ci voglio pensare.
Ma per ora, ne vale la pena.
Uno sforzo commisurato alla resa.
Un bel servizio, direi, anche.
Il mio cuore di neomamma non sopporta l’idea che ci siano dei bambini così piccoli che non possono stare a contatto con le proprie mamme. Ma se il mio latte può accorciare il loro periodo in incubatrice, ci sto. E ora vado a dormire che me lo merito.

Numeri e indirizzi

Sig.ra PUNZIANO Elisabetta
Capo Sala della Banca del Latte Umano Donato
Ospedale Infantile Regina Margherita
P.zza Polonia n. 94 Torino
Tel. 011.3131989 – 011.3135070

Io lo metto in banca. Del latte.

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